L'incanto del tempo senza fine 2
L'incanto del tempo senza fine 2
Qui puoi trovare in anteprima i primi sette capitoli del secondo libro della saga, clicca sul titolo del capitolo per leggerli:
Morpho Menelaus
Fortezza di Llandovery, Galles 1974
Stavamo rientrando da una battuta di caccia poco proficua, quando Pentecoste ci corse in contro come una furia agitando le braccia.
«Capo, abbiamo trovato un libro sulla consolle della sala controllo, c’è un biglietto indirizzato a te e a Bel. Ma quanto ci avete messo a prendere due piccioni?»
«Lasciamo stare, ha piovuto quasi tutto i tempo e non siamo stati nemmeno particolarmente fortunati. In compenso ti abbiamo portato un regalo» dissi al nostro piccolo amico, scendendo da Pomgranate, lo stallone che avevo da qualche anno. Il nano sgranava gli occhi in attesa della sua ricompensa.
I cavalli erano fradici e sfiniti ma forse, quello più sofferto era il nostro orgoglio. In anni di caccia non eravamo mai rientrati con un così misero bottino. Porsi a Pentecoste due salmerini pescati nel Towy river, giusto per non tornare con i due “piccioni” come li chiamava lui.
L’ordine, nei suoi otto secoli di storia aveva pescato e cacciato come era uso nella tradizione templare. Serviva a tenersi in allenamento con arco, frecce e balestra, a far muovere i cavalli e a mantenere il giusto equilibrio tra corpo, mente e spirito. Per il rispetto e l’ammirazione che avevo verso le culture native, avevo proposto al clan di ringraziare madre terra ogni volta che veniva ucciso un animale. Sapevo che avremmo restituito ad essa ciò che avevamo solo preso in prestito, “Ti nutrirò come tu mi ha hai nutrito“, era la frase che ripetevo con devozione quando toglievo la vita ad un essere senziente.
Iniziai a prendere le redini del cavalierato appena maggiorenne. I miei genitori mancarono che ero ancora bambino a causa di un grave incidente stradale dove la sorte mi risparmiò la vita. Arthur mi crebbe come un figlio e di questo gliene fui sempre riconoscente. Era un compagno, un amico di avventure, un mentore e un uomo saggio dal cuore grande. I suoi capelli bianchi, gli occhi azzurri e la barba curata erano solo la cornice di quell’anima antica.
A essere sinceri, l’onere di questa responsabilità, cominciava a pesarmi come un grosso macigno sulle spalle.
Il cavalierato era una “missione” alla quale venivi insignito per discendenza o per onorificenza. Nel mio caso non fu una scelta come per gli altri membri, fu semplicemente un obbligo.
Non avevo una mia identità se non quella di condurre i cavalieri del tempio di Salomone, dell’ordine di Llandovery, fino alla fine dei miei giorni. Non ricevevamo una regolare istruzione. Veniva impartita dagli stessi membri del cavalierato, che oltre ad insegnarci letteratura, storia, matematica, scienze e musica, ci addestravano alla battaglia attraverso la scherma, la lotta, le armi da taglio, le discipline orientali, la meditazione e la spiritualità. Mentre la caccia e la pesca potevano ritenersi un piacere personale.
La nostra vita sociale era praticamente assente. Questo particolare non mi era mai pesato più di tanto a dire il vero. La società moderna con le sue frivolezze e i suoi eccessi non mi attirava affatto.
Le varie donne che avevo conosciuto nelle occasioni che mi avevano portato in città, per la passione verso l’antiquariato e qualche birra con i compagni, non mi avevano sconvolto l’esistenza a tal punto da soffermarmi sul genere femminile, tanto da indurmi al sodalizio matrimoniale. Poi, ad essere onesti, non sapevo nemmeno se una donna avrebbe potuto reggere il peso del cavalierato con le conseguenze che ne derivavano.
La nostra condizione andava mantenuta in totale anonimato. Non solo per l’entità di ciò che proteggevamo ma anche per la natura segreta del clan, sopravvissuto nei secoli.
Riposti i cavalli nella scuderia, asciugati e rifocillati a dovere, rientrammo alla fortezza sotto l’ennesimo temporale di stagione.
«Allora che succede ragazzi?» chiesi, accomodandomi a tavola.
«È comparso un libro in sala controllo. Ne sai qualcosa Alfred?» mi chiese Belifar accigliato. Gli occhi cristallini del sacerdote parlavano da soli. Ormai avevo imparato a leggere tra le righe di quello sguardo antico. Come se dubitasse del fatto che io non sapessi nulla a proposito. Belifar era mio zio, fratello maggiore di mio padre, arrivato alla fortezza diversi anni prima ed era il classico personaggio mistico che si vede anche nei film. Palandrane multicolore, lunghe sino ai piedi, cucite abilmente da lui, capelli grigi alle spalle e barba lunga, legata accuratamente da un laccio di cuoio. Sapeva di unguenti e aromi orientali. Era stato allontanato dalla chiesa anglicana ma nessuno ne conosceva la reale ragione.
«Comparso? Un libro non compare dal nulla. Non ne so niente, altrimenti non avrei fatto questa domanda» risposi con un lieve tono di rammarico. D’accordo che la mia carica aveva il beneficio dell’onniscienza, ma non potevo conoscere ogni cosa.
Murden Drake era all’altro capo del tavolo, rigirando il libro incriminato tra le mani, lo osservava attentamente. Era l’unico monaco rimasto del vecchio ordine e a parte qualche apparizione nella cappella della fortezza, non si vedeva quasi mai. Tranne quella sera. Lo notai proprio per l’interesse che aveva dimostrato nei confronti del manoscritto “apparso” dal nulla. Negli ultimi mesi mi aveva dato parecchi pensieri. Era diventato a dir poco paranoico, soprattutto riguardo alla passione per i rettili e draghi barbuti. Totalmente apatico ad ogni tipo di relazione con la comunità, pochi capelli in testa, occhi chiarissimi e indagatori.
«Posso avere il piacere di vederlo?» chiesi con un tono della voce che non lasciava spazio ad ulteriori commenti.
«Certamente», rispose il monaco.
«Alfred, è stato esplicitamente indirizzato ad entrambi, quindi ritengo che sia una cosa da non prendere alla leggera. Avete per caso visto di cosa si tratta?» chiese Belifar, rivolto verso di noi.
Presi il libro tra le mani, “L’altezza dell’amore” portava come titolo di copertina. All’interno, un biglietto che indicava i nostri nomi.
«Perdonatemi, ma chi l’ha trovato?», chiesi di nuovo ai compagni.
«Moi, mon capitaine!» Pentecoste, custode del “segreto” del nostro ordine. Alto poco più di un metro, era un po’ la nostra mascotte. Simpatico, genuino, esilarante. Con quelle sue buffe movenze e la voce da cartone animato, non mancava mai di farci fare grasse risate. Lo adoravano tutti, non si poteva non amarlo.
Il piccolo amico mise la mano tozza e grassottella sulla fronte, alzandosi letteralmente in piedi sulla sedia.
«Era appoggiato sulla consolle della sala di controllo. Ammesso che se non sia stato uno di noi, deve essere entrato qualcuno, capo» riprese il nano, gesticolando spropositatamente come di consueto.
«Non credo proprio. Non c’è modo di entrare alla fortezza», risposi risoluto.
«Ma se non siamo stati noi, allora da dove arriva questo libro? Dal cielo no di sicuro» .
«Dopo cena, Belifar ed io ci daremo un occhiata» dissi, con la speranza di poter far chiarezza sulla faccenda il prima possibile.
Riprendemmo a cenare, senza più toccare l’argomento. Drake però, continuò a fissarmi per tutta la sera. Avevo l’impressione che stesse tramando qualcosa e lo accennai sottovoce ad Arthur.
«Uhm, non saprei, le medicine che prende probabilmente lo intontiscono molto».
«Come facciamo ad essere sicuri che le stia assumendo davvero?».
«Gliele da Bel, personalmente».
«Se siete sicuri voi. Io però incomincio ad avere dei dubbi, non solo che non stia prendendo i farmaci che gli abbiamo procurato, ma che stia architettando qualcosa. Non vedi come osserva anche l’aria che respiriamo?» risposi preoccupato.
«Non saprei Alfred, indagheremo».
.
Verso mezzanotte ci chiudemmo in biblioteca in tre. Arthur, Belifar ed io.
Il libro sembrava confezionato artigianalmente. Non c’era indice, né prefazione e il primo capitolo raccontava di una ragazza e di uno strano libro con una farfalla sulla copertina. Man mano che andavo avanti con la storia, compresi che era la nostra realtà, ma in una linea temporale di quindici anni più tardi, causata apparentemente dall’allagamento dei sotterranei del 1248.
«Questo libro potremmo essercelo mandato dal futuro, da una aberrazione del tempo, collegata ad una alterazione del disco» dissi, sconvolto da ciò che avevamo appena appreso.
Il Dandellion era il “segreto” che l’ordine proteggeva da sempre. Un gigantesco disco d’oro rosso che aveva la proprietà unica della memesi di transizione del tempo. Ci dava la possibilità di viaggiare nel passato e nel futuro, per poter sistemare le parti della storia che andavano modificate. L’origine di quella magia non era nota a nessuno se non iscritta in un cartiglio antico dalle origini sconosciute. Il disco era descritto come centro univoco dell’universo.
In tutte le cose strane che avevo dovuto imparare nel corso della vita, appresi presto che non eravamo soli in questo universo. Altri popoli e altri mondi erano venuti a rendere omaggio al Dandellion e nel corso dei secoli si era formata una sorta di alleanza planetaria per proteggerlo. L’ordine aveva sempre presunto che il creatore del meccanismo di transizione, appartenesse alla confederazione galattica, ma nessuno dei popoli che ne facevano parte aveva mai dichiarato chi fosse il vero fautore di quel mistero.
Il libro raccontava di una donna di nome Penelope, conosciuta appunto quindici anni più tardi da un rigattiere, Iago Sullivan, dove normalmente compravo antiquariato, che aveva dimostrato lo stesso mio interesse per una farfalla appoggiata su una copertina. La donna, più tardi, scoperse che il testo raccontava del nostro incontro, delle nostre vite, come se fosse un reportage redatto quasi chirurgicamente da qualche misterioso scrittore.
Proseguiva con un sacco di eventi più o meno drammatici. La sorella di Abraham Lincoln che aveva viaggiato nel tempo grazie a un baule ritrovato per caso, e un diario che le permetteva di comunicare con noi a diversi anni nel futuro. Un rapimento, la confederazione con la piattaforma atlantica, un caccia torpediniere preso d’attacco, i Nogrom, Drake che uccide Belifar e Pentecoste e dulcis in fundo che Ulas, il rettiliano che avevamo sempre pensato fosse il nemico, non era ciò che avevamo sempre creduto. Controfirmato da Moroder in persona e da me.
Sulla prima pagina c’era una nota a caratteri cubitali, quella di distruggere il libro appena avessimo appreso le notizie necessarie.
Sembrava uno scherzo di cattivo gusto, ma avevo il timore che potesse avere un fondamento di verità.
«E se fosse plausibile?» disse Belifar.
«Scusate un attimo, ma se fosse tornato indietro qualcuno, ce ne saremmo accorti, non credete? Ogni volta che il Dandellion si mette in funzione, sembra il terremoto» dissi, con cognizione di causa. Il disco in movimento, generava un esplosione paragonabile a quella termo nucleare.
«In questi giorni, noi non c’eravamo, l’unica spiegazione possibile è che il disco possa essersi attivato di notte. Pentecoste non si sveglia nemmeno con le cannonate e Drake prende dei sonniferi» rispose dubbioso Arthur. Potevano essere diverse le ipotesi da prendere in considerazione.
«Si ma il personale non è sotto sedativi e le guardie sono presenti ad ogni ingresso ai sotterranei» ribatté Belifar.
«Il personale dorme in un ala della fortezza dove le vibrazioni si sentono molto meno e le guardie non sono tenute a farci nessun resoconto sulla gestione del Dandellion. Si preoccupano che nessuno entri o esca senza autorizzazione» concluse Arthur.
«Andiamo a chiederglielo allora» dissi, risoluto.
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Le guardie confermarono che la notte stessa della nostra partenza per l’infausta battuta di caccia, il Dandellion si era attivato. Ma dedussero che fosse stato Drake, dato che aveva bazzicato per giorni intorno al disco.
«Mister Johanson, noi non abbiamo la minima idea dei vostri programmi. Come facciamo a sapere chi e perché mette in moto il meccanismo di transizione?».
«Avete mai visto qualcuno che non sia il sottoscritto o Arthur, mettere in funzione il disco per caso? Ci sono dei codici alfanumerici da inserire e bisogna conoscere la combinazione dei deodi. Solo noi due abbiamo l’autorizzazione e la competenza necessaria per attivare la mnemesi di transizione. Spero che ora sia chiaro» conclusi, con il volto paonazzo dalla rabbia. Tutta la fatica per proteggere il disco e le guardie non si erano minimamente preoccupate di avvisare che ci fosse qualcosa di anomalo.
«Domani, parliamo con Drake. Ci deve delle spiegazioni. Perché avrebbe dovuto azionarlo? E se fosse uscito talmente di testa da tramare tutta la storia?» dissi agli altri con il volto paonazzo dalla rabbia.
Presi il libro e me lo portai in camera per leggerlo accuratamente. Avevamo solo acquisito i fatti salienti ma mi incuriosivano le sfumature tra le righe. A quel punto, approfondire i dettagli mi sembrava di vitale importanza. Se fosse stato uno scherzo me ne sarei reso conto, certi particolari potevano confermare la veridicità del testo. O così, almeno speravo.
La storia era a dir poco incredibile. Non solo raccontava cosa successe in quell’anno, ma anche i fatti accaduti alle due donne, che riuscivano a comunicare tra loro, attraverso i diari, in un lasso di tempo di ben 76 anni. Una scriveva dal passato, l’altra rispondeva dal futuro.
Ulas, un rettiliano di Uron che avevamo sempre visto come unico e solo nemico, raccontò che l’artefice di tutta la disputa non era stato lui, ma Drake, che aveva trovato il modo di modificare il suo patrimonio genetico, aiutato dai Nogrom. Tutte le vicende riportate avevano dei dettagli talmente accurati, che solo chi faceva parte della confederazione poteva esserne a conoscenza. Il fatto mi turbò non poco, perché ciò voleva dire che il libro era autentico.
La morte di Belifar e di Pentecoste, uccisi senza scrupoli, mi sconvolse drammaticamente. Ero io stesso, da quella linea temporale futura, a descrivere cosa successe e il dolore immenso che avevo provato.
Secondo il racconto Ulas, perse la moglie e il figlio a causa di un attacco al suo villaggio ed era venuto alla fortezza per tornare, grazie al disco, a prima che accadesse il drammatico epilogo.
Una delle cose che mi colpì maggiormente del racconto, fu l’amore che condividevo con questa donna. Miss Penelope Blossom, comparsa nella mia vita, grazie al libro con una farfalla azzurra sulla copertina.
Baster Pilgrim
La storia riportava delle due agende che vennero rilegate nel 1248 dalle abili mani di padre Kibreab, un giovane monaco amanuense dell’ordine. Le depose in un baule, dove successivamente venne messa un ampolla con la polvere d’auran, proveniente da una ossidazione del disco, causata dall’allagamento dei sotterranei durante un violento nubifragio. Questo fatto, secondo il racconto, aveva creato la scissione temporale, generando altri tre dispositivi di transizione del tempo: un libro, un’agenda e un baule.
Il libro con la farfalla azzurra, trovato da miss Blossom e dal mio alter ego del 1989, che riportava alla lettera la nostra storia, mi spinse a rivelare alla ragazza la verità sul cavalierato e sul Dandellion. L’altra donna, miss Fregene Vault, invece, trovò baule e diario, molti anni prima, nel 1865, che le permise di comunicare con l’ordine, attraverso il libro di Penelope.
Dovevo avvisare Arthur e Belifar a proposito di ciò che avevo scoperto. Il libro sembrava autentico. Ma la questione da affrontare ancora più urgente era proprio il nostro caro amico Murden Drake. Dovevamo fare in modo che non combinasse ulteriori guai.
Quella notte ovviamente non dormii, sia per terminare la lettura, sia per l’agitazione che avevo addosso. Di tutte le cose che avevo appreso e che dovevo risolvere, quella ragazza dall’ardore travolgente, mi aveva fatto emozionare come non mi era mai successo prima.
Al mattino non andai nemmeno a far colazione, mi diressi direttamente in biblioteca a cercare nell’elenco se esistesse qualcuno con quel nome. Non era menzionato nessun Blossom a Llandovery, ma trovai tre famiglie omonime a Newport.
Qual era quella giusta? Feci due calcoli basati sulle date che riportava il manoscritto ed arrivai alla conclusione che la ragazza potesse avere poco più di 20 anni. Cercai nell’annuario dell’università di Cardiff e… bingo! Ero felice come un bambino. Era bellissima. Oddio, forse ero talmente preso dai fatti che se anche fosse stata diversa mi sarebbe piaciuta ugualmente.
«Alfred, ti stavo cercando, ma cosa combini?» chiese Arthur divertito «Sembra che tu abbia appena avuto un’illuminazione celestiale».
«Ho appena scoperto che il libro probabilmente ce lo siamo mandati davvero dal futuro, che dobbiamo fermare Drake prima che sia troppo tardi e in fine che esiste davvero Penelope Blossom».
«Quale delle tre cose ti rende così euforico? Oddio non ci vuole una laurea in psicologia per capirlo» disse Arthur divertito, che ormai aveva intuito che mi stavo innamorando solo di un’idea, ma era un’idea meravigliosa.
Arthur ed io consultammo Belifar per decidere il da farsi.
Appreso le ultime nuove, il sacerdote prese a girare intorno al tavolo della biblioteca tenendosi la barba come Mosè prima di salire sull’arca: «Bel, finirai per consumare il pavimento» dissi, divertito. Arthur che normalmente non si sbilanciava in frivolezze, rideva sotto ai baffi per la scena esilarante.
Avevamo intuito che Drake stava meditando di azionare il disco per qualche losco proposito e che probabilmente Ulas era tornato indietro, lasciando il libro sulla consolle senza farsi vedere e ripartito la notte stessa per tornare dai suoi cari. Non avrebbe avuto il tempo di star a spiegare tutta la storia senza rischiare di essere assalito dalle guardie che lo avrebbero catturato immediatamente.
«Non capite che se non troviamo una soluzione, finisce che Drake ci fa la festa di nuovo?» disse Belifar preoccupato.
«E che facciamo? Lo leghiamo e imbavagliamo e lo buttiamo nelle segrete?» risposi, sorridendo.
«Beh, non sarebbe una cattiva idea» concluse Arthur, che ovviamente aveva preso la battuta come speravo che fosse.
«Arthur, tu non hai un parente nella clinica psichiatrica di Cardiff o sbaglio a ricordare?» chiesi, con il beneficio del dubbio.
«Già, quel matto di Baster Pilgrim».
«Beh, matto non direi, ha una cattedra a Cardiff University» rispose Belifar.
«L’ultima volta che l’ho visto, mi ha dato dell’incompetente perché ho cercato di dirgli che sua moglie andava curata». disse Arthur risentito. Non era tipo da farsi prendere dal rancore ma in quel frangente era evidente che tra i due non passava buon sangue.
«Anna Pilgrim? Avevo sentito fosse morta» ricordavo il fatto di cronaca letto diversi mesi prima.
«Appunto, con le sue tre lauree, non è stato capace di capire cosa avesse la sua compagna. Una forte forma di depressione. Ma secondo lui non era abbastanza grave da mandarla in ospedale».
«E tu vorresti dargli in cura Murden Drake?» chiese Belifar preoccupato.
«Onestamente? Non me ne frega niente di come curerebbe il monaco. Basta che ce lo leviamo dalle palle». Non potevo pensare che per colpa sua le sorti dell’ordine potessero soverchiarsi totalmente.
«Ma Drake non è stupido, non si farà ricoverare» aggiunse Belifar, allargando le braccia.
«Lo portiamo da Pilgrim con la scusa che dobbiamo rivedere i farmaci e d’accordo con lui lo facciamo internare. Almeno ci togliamo questa spina nel fianco. Mi mette i brividi solo a guardarlo» dissi con convinzione.
«Cosa ti fa pensare che Baster Pilgrim accondiscenda alla nostra richiesta?» domandò Arthur.
«Gliela presenteremo in modo che non possa rifiutare»
«E sarebbe a dire?»
«Una valigia piena di soldi».
«Non ti facevo cosi cinico Alfred» ribatté Belifar, socchiudendo gli occhi da lince arguta qual era.
«Se serve a salvarci la vita, evviva il cinismo» risposi, convinto di quello che stavo facendo.
Chiamai la segreteria della “Silver Private Therapy Clinic” e presi appuntamento con il dottore.
«Mi riceve domani. Vado da solo, perché temo che se Drake ci vedesse uscire insieme possa sospettare qualcosa»
«Sì, hai ragione Alfred, ti faccio preparare i contanti. Di che cifra parliamo?» chiese Arthur. Presi carta e penna e scrissi “Cinquantamila” sterline.
«Ma tu sei matto» ribatté Arthur, scuotendo il capo.
«Pensi che il soggiorno al Silver, possa costare meno?»
«Ma se poi ce lo rimandassero a casa?» Belifar non era tanto preoccupato per i soldi, quanto per la probabilità che il nostro piano fosse solo temporaneo.
«Faremo in modo di farlo restare, rimpolpando a dovere le tasche del dottore».
«Ma ci costerà una fortuna Alfred!».
«Abbiamo alternative?».
«Ci sono sempre le segrete della fortezza» Arthur non faceva mai battute a caso, ma quando succedeva erano sempre ben studiate, piazzate ad oc come bombe molotov. Mi trattenni dal ridere per non dargli questa soddisfazione.
Onestamente non nego che l’idea mi era balenata diverse volte per la mente. Rinchiuderlo, sarebbe stata la cosa più semplice. Ma era la meno “umana” che potessimo escogitare.
Andammo ad avvisare le guardie che l’accesso ai sotterranei era temporaneamente “non consentito” in particolar modo a Murden Drake.
Nel pomeriggio presi coraggio e scrissi un biglietto a miss Blossom. Dato che l’appuntamento con il dottore l’avevo per le 15 del giorno dopo, pensai che essendo già in città per quel motivo, potevo sperare di incontrare Penelope.
Il Moodies era uno dei bar che sapevo fosse frequentato dagli studenti e non era tanto distante dalla clinica del dott. Pilgrim.
Il giorno seguente, dopo pranzo, partii per Cardiff.
Giunto a destinazione, mi misi in sala d’attesa per essere ricevuto.
«Il dottore la sta aspettando» disse la segretaria già in là con gli anni e con la voce nasale per il forte raffreddore che le faceva lacrimare gli occhi. Pilgrim mi ricevette seduto alla sua scrivania con un sigaro spento che si faceva passare tra le dita.
«Buon giorno mister Johanson, si accomodi. A cosa devo l’onore di questa visita?». Era un uomo di mezza età con i capelli sale e pepe, barba e baffi folti e un bitorzolo sul naso che lo rendeva abbastanza disgustoso.
Spiegai al dottore il mio cruccio riguardo al monaco, enfatizzando i problemi che avevamo evidenziato negli ultimi mesi e soprattutto che poteva diventare pericoloso tenerlo alla fortezza perché non eravamo in grado di dargli le cure necessarie. Dopo qualche minuto, scartabellando dei documenti, Pilgrim mi rispose.
«Ad essere sinceri siamo pieni, ma anche volendo non posso ricoverare il vostro ospite, perché non ritengo idoneo il suo profilo»
«E quale sarebbe un profilo idoneo, mi scusi?»
Incominciò a elencarmi una serie di patologie e caratteristiche del potenziale paziente. Alla fine mi decisi a proporgli la mia commissione.
«Sono cinquantamila sterline, possono andar bene per rendere qualificato Murden Drake?»
«Mi lasci parlare con la direzione» uscì dalla stanza e pochi minuti dopo, ricomparve con un foglio in mano. Finalmente si decisero a dichiarare “idoneo” il nostro paziente.
Non potevo essere più felice della notizia e un tantino alleggerito di un cospicuo fardello. Ma non mi interessava, sarei andato in fondo alla storia anche a costo di rimanere in mutande.
La ricchezza del casato dei Johanson era abbondantemente finanziata dai vari terreni e proprietà della famiglia che si estendevano quasi fino in Scozia. Il mio nobile bis nonno aveva avuto un gran fiuto per gli affari e diversi “feudi” da cui poter attingere le risorse per le necessità dell’ordine.
Uscito dalla clinica mi diressi verso il Moodies con la speranza che Penelope avesse accettato il mio invito.
Ero teso come un ragazzino al primo appuntamento. Mi sistemai più volte cappello, cravatta e soprabito e controllai di non essere spettinato nello specchietto retrovisore della macchina. Ridevo da solo per la mia ingenuità. Molto probabilmente miss Blossom non aveva nemmeno letto il mio biglietto. Mi diedi dello stupido solo a sperarlo.
Quando entrai nel pub, illuminato dalle luci fioche delle lampade e gremito di ragazzi, vidi questa ragazza seduta da sola ad un tavolo, che assomigliava alla foto dell’annuario.
Per un secondo tentennai. Dovetti far appello al raziocinio dato che mi prese il panico. “Forza Alfred non fare il caga sotto” mi dissi, cercando di darmi una sferzata di adrenalina. Ero evidentemente influenzato dal racconto ed emozionato solo all’idea di vederla.
Mi avvicinai a lei «Miss Penelope Blossom?» dissi, togliendomi il cappello.
«Sì» rispose timidamente la ragazza.
«Salve, sono Alfred Peter Johanson, molto lieto di conoscerla». Le strinsi vigorosamente la mano, cercando di non risultare sfacciato.
Penelope indossava un golf accollato color caffè e un cappotto di panno nero, con una enorme sciarpa verde pistacchio che la avvolgeva quasi totalmente. I capelli castani le fluivano dolcemente sulle spalle. I suoi occhi color dell’ebano mi avevano rapito dal primo momento che li incrociai. Probabilmente ero solo condizionato dalla storia, me ne rendevo conto, ma mi piaceva l’idea di essere avvantaggiato da questo. Conoscevo il nostro futuro e avrei voluto metterla al corrente di tutto, avrei voluto dirle quello che saremmo stati insieme. Ma non potevo correre il rischio di essere catapultato fuori dalla sua vita, prima ancora di esserci entrato. Dovevo andare con calma. Chi ci avrebbe creduto? Forse se le avessi fatto leggere il libro, magari.
«Penelope, la ringrazio per essere venuta all’appuntamento. Sono immensamente felice di conoscerla».
«Sono venuta solo perché immaginavo fosse la persona che mi avrebbe aiutato con la tesi di laurea. Non è cosi?»
Avrei potuto sfruttare l’occasione, ma non volevo mentirle. Cosa mi potevo inventare?
«No, mi spiace non sono colui che dovrebbe aiutarla con la tesi. Ho solo ricevuto un biglietto che diceva di venirla a cercare».
«Un biglietto? Un biglietto da chi, mi scusi?»
«Era anonimo, c’era solo scritto di cercare Penelope Blossom».
«Davvero? Oddio chi potrebbe averle scritto una cosa del genere? E per quale motivo?».
«Onestamente non lo so, speravo che lei potesse aiutarmi in questo».
«Non saprei proprio, che cosa strana, non trova?».
«Sì, in effetti stavo per gettarlo nel cestino della carta e poi mi è venuto un dubbio “E se fosse così? Se davvero dovessi rintracciare questa persona? Così mi sono deciso a cercare il suo indirizzo e mandarle l’invito per un caffè. Spero di non averle creato troppo disturbo»
«No, ci mancherebbe, ero in università ed arrivare qui è stato un gioco da ragazzi. Ma piuttosto vorrei capire chi possa aver mandato questo messaggio e perché. Che senso avrebbe farci incontrare?»
«Non ne ho idea miss Blossom, spero di scoprirlo al più presto»
Bevemmo la nostra tazza di caffè e parlammo del suo progetto di laurea. Non mi sembrò poi cosi riluttante a conoscerci. Speravo in cuor mio, che anche da parte sua ci fosse qualche sorta di interesse. Se si fosse chiusa in se stessa e avesse pensato a un inganno per trarne vantaggio per me sarebbe stata la fine.
Pregavo che non se ne andasse. Pregavo che fosse almeno disposta a conoscermi.
"Cara Penelope"
In tutta la mia vita, non mi sentii mai cosi male come quel giorno. Il mio destino era in mano alle frasi che sceglievo e a ciò che dicevo. Bastava un piccolo errore e l’avrei persa per sempre.
Per fortuna Penelope rimase ad ascoltare ciò che avevo da dire. Credo che il mistero del “biglietto” anonimo la affascinasse più di quanto avrebbe voluto ammettere.
Se non avessi dovuto distruggere il libro, avevo una mezza intenzione di farglielo leggere. Ma il dubbio che mi prendesse per pazzo era più forte di quel proposito.
«Cosa ne dice se ci scambiassimo i numeri di telefono? Così, nel caso venisse fuori qualcosa inerente a questo mistero, possiamo comunicarcelo» tremavo all’idea che potesse dire di no.
«D’accordo, mi raccomando Alfred, se venisse a sapere chi e perché le ha mandato questo biglietto me lo faccia sapere» scrisse il suo numero su un tovagliolo del bar ed io feci lo stesso.
Ci salutammo sul marciapiede come due perfetti sconosciuti.
Tornai alla macchina avvilito. Non era andata male, ma non era nemmeno andata come speravo.
«Che ti aspettavi Alfred? Che ti saltasse al collo immediatamente?» mi disse Arthur, appena vide la mia faccia, prima ancora che cominciassi a raccontare cosa successe alla clinica.
«La cosa assurda è che non gioisci del fatto che Pilgrim abbia acconsentito a ricoverare Drake, ma che miss Blossom non ti sia corsa incontro come speravi» Belifar rimproverava la mia leggerezza.
«Scusate se mi sono permesso di prendermi una gioia. Dopo tutto, sono solo dodici anni che vivo per la causa, senza mai lamentarmi di nulla».
«Hai ragione Alfred e mi scuso se te l’ho fatto presente, ma credo che il problema di Drake, attualmente, sia da considerarsi di priorità assoluta» rispose il sacerdote, avvilito dalla situazione. Anche perchè era la parte in causa. Il libro aveva drammaticamente sottolineato che Belifar sarebbe morto per mano del monaco.
Misi da parte miss Blossom e mi concentrai sul da farsi. Prima di tutto, comunicare a Murden che avremmo dovuto recarci alla clinica per rivedere i farmaci e poi decidermi a distruggere quel libro.
«Ma come glielo diciamo? Se andassimo tutti e tre finirebbe per mangiare la foglia. È Astuto come una lepre. Bel visto che sei l’esperto in medicina, direi che se andassi tu sarebbe più credibile. Che ne pensate?» chiesi, senza toppe remore.
«Sì, mi sembra la soluzione migliore» rispose Arthur, dando una pacca sulla spalla al sacerdote, che aveva la difficile incombenza di rendere credibile la faccenda.
«Facile per voi mandarmi in pasto ai leoni. Sarò sbranato solo io, giusto no?» Belifar uscì dalla biblioteca già rassegnato e deciso a risolvere la questione immediatamente.
«Mi sa che lo sentiremo gridare fino a qui» disse Arthur ridendo.
«Povero, non vorrei essere nei suoi panni in questo momento» risposi, sentendomi in colpa per non averlo fatto io. Ma non sarebbe stato credibile.
«A proposito, come sei rimasto d’accordo con il dottore, Alfred?» chiese Arthur, porgendomi un bicchiere di vino. Mi conosceva e sapeva che non bevevo, eccetto in occasioni speciali e quando ero particolarmente a terra d’umore.
Presi il calice e risposi alla sua domanda «Siamo d’accordo di sentirci appena abbiamo idea di quando portarlo»
Belifar tornò venti minuti dopo «Sapete cosa mi ha detto? Che non vedeva l’ora di farsi un giro in città. Mi ha quasi fatto rimanere male, perché mi aspettavo una reazione molto diversa».
«Da non crederci. Mah, è sempre più strano», dissi con un milione di dubbi che mi frullavano in testa. Avevo costantemente l’impressione che fosse dietro l’angolo ad ascoltare.
Chiamai la clinica e dissi a Pilgrim che ci avremmo messo un paio di giorni per portarlo da lui. Appena riattaccai, tirai un sospiro.
Sembrava tutto incastrarsi per il verso giusto.
L’unico cruccio ora, era decidermi di bruciare il libro ma non avrei più potuto mostrarlo a Penelope nel caso non fosse più ricomparsa nella mia vita. E il rischio di essere frainteso era davvero reale.
Non avevo idea di cosa fare per non perdere quella ragazza.
Belifar, che mi conosceva bene e sapeva leggere tra le righe dei miei pensieri, disse: «Alfred, se mi permetti vorrei darti un consiglio. Brucia quel libro e attendi che il destino faccia il suo corso. Se deve essere, sarà. Altrimenti, continuerete per le vostre strade».
«Non riesco nemmeno a pensarlo Bel, perdonami».
«Scusami un attimo, se quel libro non fosse mai arrivato qui, tu non avresti saputo nulla e saresti andato avanti con la tua vita come se nulla fosse» aggiunse Arthur, mettendomi affettuosamente una mano sulla spalla.
«Sì, ma dato che nel futuro parallelo abbiamo fatto di tutto perché certi avvenimenti non possano ripetersi, come la tua morte (mi rivolsi verso Belifar) o quella di Pentecoste o come l’attacco alla fortezza, mi sembra davvero poco rispettoso non prendere queste informazioni con la serietà e l’attenzione che meritano» risposi risentito. Non ritenevo giusto che tutto ciò che era stato fatto finisse nel dimenticatoio. Era di vitale importanza tanto quanto la verità che conteneva.
«Sentite, se mi date l’autorizzazione potrei tentare l’ultima carta. Quella di mandare il libro a miss Blossom, con una lettera dove spiego la storia e dove le chiederò esplicitamente di distruggere il libro appena trarrà le dovute conclusioni» Sapevo che potevo fidarmi di lei, sia perchè avrebbe mantenuto la riservatezza necessaria e sia perchè avrebbe eliminato il libro come richiesto.
«Sì, e se non ti credesse? Tutto questo non sarebbe servito a niente. Solo a farti passare per idiota, scusami Alfred ma questa possibilità è grande come il mare».
«È vero Arthur, ma è anche vero che se non provo, non andremmo da nessuna parte ugualmente. Per due motivi: uno, è che non saprei proprio come giustificare il famoso “biglietto” da uno sconosciuto che mi chiede di cercarla, quindi non ci sarebbe modo di recuperare i contatti con lei, e due, conseguentemente, la perderei a prescindere» dissi, sconcertato dai fatti. Ero talmente depresso che non mi riusciva di vederla in altro modo.
«Ma come fai a dirlo Alfred? Sono passate solo poche ore, magari ti chiamerà lei» disse Arthur.
«E se non mi chiamasse? Non posso disturbarla ancora».
«Ora spiegami perché sei determinato a farle leggere la storia, voglio proprio saperlo» continuò l’amico.
«Perché deve sapere che qualche mese insieme è bastato a legarci in modo indissolubile. Avrei dato la vita per lei. L’ho capito mentre leggevo ciò che ho scritto personalmente e specificatamente “evidenziato” in modo che sapessi che a redigere quella parte del libro ero stato io stesso. Quindi è come se il mio alter ego avesse scritto di proposito questo messaggio per me da questa parte, in modo che non ci fosse dubbio che lo leggesse qualcun altro. Capite perché voglio che conosca la verità? Lei deve sapere».
«Sai che questo comporta anche “sapere” tutto il resto?»
«Certo, se lo ha sopportato una volta, lo sopporterà anche questa»
«Se sei convinto, fallo, ma devi anche essere consapevole che se non funzionasse, non avrai altre possibilità» disse Belifar, guardando Arthur, che annuì con il capo per avallare anche la sua opinione.
«D’accordo allora, che l’universo mi aiuti, perché non credo di aver mai chiesto nulla in vita mia, ma stavolta sì, mi dannerei l’anima per lei».
«Alfred, non conosciamo i particolari della storia perché li hai letti solamente tu, ma ci fidiamo di te a tal punto da lasciarti decidere in merito. Se hai capito che questa donna possa essere la soluzione non solo per il tuo cuore ma anche per tutti noi, allora hai il nostro benestare. Ma se solo avessi dei dubbi ti prego di rifletterci ancora un po’»
«Lei è la nostra donna, mia, ma anche vostra. Ne sono sicuro, non chiedetemi come faccio a saperlo perché non saprei rispondere, lo so e basta. Fidatevi di questo per favore».
«D’accordo allora, va a scrivere questa lettera»
«Grazie della fiducia».
Mi diedero una gran pacca sulla spalla e si congedarono.
In quel momento i miei compagni videro che non solo mi brillarono gli occhi, ma mi brillava anche il cuore. Per me non c’era felicità più grande di questa. Avevo trovato la donna dei miei sogni e non me la sarei fatta sfuggire per nessun motivo al mondo.
Mentre Belifar e Arthur preparavano Drake per la visita di controllo da fare il giorno dopo, il pomeriggio scrissi la lettera.
“Cara Penelope,
mi scuso per averle mentito, ma non sapevo come giustificare quello che mi è accaduto. Le devo raccontare una storia….“
Raccontai sommariamente gli eventi e spiegai a miss Blossom che i particolari erano specificati nel libro. Allegai il manoscritto alla lettera con la “postilla” di distruggerlo appena letto, così lo diedi in mano al postino che lo avrebbe consegnato personalmente.
Non sono mai stato uno di tante preghiere e non ero un assiduo frequentatore della chiesa anglicana, ma quel giorno pregai Dio con tutto il mio cuore che mi potesse aiutare a riavere ciò che un’aberrazione del tempo mi aveva portato via.
Il punto zero
La sera a cena, Murden Drake non era presente e non nego che la cosa mi disturbò parecchio. Stava tramando qualcosa, me lo sentivo, ne ero certo come ero certo di esistere.
«Ragazzi, che ne dite se andassimo a controllare cosa sta facendo il monaco?».
«Starà preparando le sue cose per il ricovero, no?» disse Belifar, tenendo un pezzo di pane in mano, come se fosse una reliquia.
«Veramente lui sa che è una visita di controllo, non un ricovero» disse Arthur che mi sedeva accanto.
«Sentite non sono tranquillo, vi spiace se andiamo a verificare? Will, vieni con me?».
Williford Gardiner ed Hector Piotrowsky erano parte del cavalierato da diverso tempo. Come Frank Mac Person e Spencer Thompson.
Gardiner era vice ammiraglio, giunto alla fortezza insieme ad Arthur Finnigan, ingaggiati da mio padre per la sicurezza internazionale, mentre Piotrowsky era stato assunto per i particolari contatti che aveva con la milizia scozzese, che ci permetteva di avere la riservatezza necessaria alla causa. Frank e Spencer, due giganti di colore, a loro volta, erano stati nell’esercito britannico.
La fortezza risultava come istituto di ricerca su presidio militare. Era l’unico modo per mascherare alle forze governative la vera natura del cavalierato.
Arrivati in camera di Murden Drake lo cogliemmo a fare ordine in certi suoi documenti.
«Drake, perché non è venuto a tavola con noi?» chiesi gentilmente.
«Apprezzo il vostro interesse e vi ringrazio, ma ultimamente ho perso l’appetito» gli occhi del monaco erano pezzi di ghiaccio, ti penetravano lo sguardo come un missile tomahawk.
«Domani parleremo anche di questo con il dottore. Allora buona notte» dissi, richiudendo la porta.
Will mi guardò attraverso gli occhiali spessi da talpa accecata e arrotolando i baffetti all’insù, fece una pausa, poi disse: «Hai ragione Alfred, quell’uomo mette i brividi solo a incrociarne lo sguardo».
«Non era così qualche anno fa. Ricordo che da ragazzo passavo diverso tempo con lui in giardino a cogliere fiori da portare in cappella o a scegliere le piante officinali dalla serra dato che l’erboristeria era una delle sue passioni. Ha un’intelligenza fuori dalla norma e una scaltrezza allarmante. Ricordo il giorno che mi sconfisse a scacchi. Non sarò un gran cacciatore ma riguardo a quei sedici pezzi d’avorio non mi aveva mai battuto nessuno. Ci riuscì Drake in tre mosse. Non feci nemmeno in tempo a rendermene conto che mi aveva dato scacco al re. Ti suggerisco di non dargli mai le spalle Will. Non si sa mai».
Dopo cena ci ritrovammo tutti insieme a discutere degli ultimi avvenimenti. Informammo il resto del clan a proposito del contenuto del libro e dei sospetti che avevo riguardo a Drake.
«Ma fatemi capire, che storia assurda è questa? Ulas torna qui, senza essere visto da nessuno, molla il libro in sala controllo e sparisce nel nulla? D’accordo che non eravamo presenti e che le guardie non sospettavano niente, ma non vi sembra un po’ strano?» domandò perplesso Hector.
«Probabilmente immaginava che l’avremmo assalito, non conoscendo la reale storia».
«Potrebbe essere, però mi pare che qui ci stia sfuggendo una cosa fondamentale» continuò Hector.
«E sarebbe?».
«Se non interveniamo al punto zero della questione, nel 1989 succederà di nuovo ancora tutto».
«Non ti seguo Hector» dissi dubbioso.
«I nostri alter ego del futuro hanno distrutto baule e diari e rimesso in ordine gli eventi sino a questo punto, ma se non andiamo ad impedire che Novak metta la polvere d’Auran nel famosa cassa, tutto ciò che succederà negli anni futuri, porterà comunque allo stesso risultato».
«Ha ragione, dobbiamo agire subito» disse Belifar, tenendosi la barba come era solito fare quando le cose non le erano troppo chiare.
«Un momento, aspettate, questo significherebbe perdere ogni possibilità di incontrare miss Blossom»
«Credo che non si siano troppo alternative, Alfred».
«Se impedissimo a Archibald Novak di riporre l’ampolla nel baule, non accadrebbe nulla di quello che è successo dopo. Quindi tutto il continuum generato dalla scissione, andrebbe automaticamente cancellato»
«Appunto, datemi qualche ora per cercare di risolvere la questione e tentare l’ultima carta con Penelope»
«D’accordo, tanto un ora o un giorno cambierebbe poco» concluse Arthur, dandomi tempo per tentare di risolvere la questione.
Il mattino andai personalmente a chiamare Drake per accompagnarlo da Pilgrim. Bussai alla porta e non sentendolo rispondere entrai, immaginandolo in bagno ad ultimare gli ultimi preparativi. Controllai ovunque, sin sotto al letto. Murden Drake era sparito.
«Me lo sentivo che quell’uomo stesse architettando qualcosa» gridai agli altri mentre si accingevano a far colazione.
«Perché??»
«Drake è sparito!»
«Accidenti, e ora?»
«Temo che il salto al punto zero sia da compiere adesso. Non possiamo attendere ulteriormente. Se è come immagino, il monaco riuscirà in qualche modo ad alterare ancora la linea temporale. Dobbiamo fare due cose. Tornare al giorno dell’alluvione e successivamente impedire che Drake arrivi alla fortezza, se vogliamo evitare un sacco di guai» concluse Belifar con cognizione di causa.
«Si hai ragione Bel e temo che Alfred non abbia tempo per avvisare Penelope».
«Direi che possiamo concedergli qualche ora, non di più. Nel frattempo organizziamo i preparativi per la partenza» aggiunse Arthur, che tentava di accondiscendere ai miei desideri.
«D’accordo, andrò a Cardiff ad aggiornare Pilgrim della novità con la speranza di recuperare il malloppo e proverò a parlare con Penelope prima che scompaia per sempre dalla mia vita».
Casa Blossom
Partii per la clinica con il cuore che mi esplodeva nel petto. Quelle poche ore avrebbero determinato il mio futuro. Ora tutto dipendeva da Penelope.
Uscito dal Silver e recuperato parte della mia commissione, poiché Pilgrim si arrogò il diritto di tenere una notevole somma per le spese di organizzazione del ricovero, mi diressi verso la Cardiff University, con la speranza di incrociare miss Blossom.
Aspettai diverse ore. Verso le due del pomeriggio decisi di demordere e passare da casa sua. Era l’ultima speranza. Poi improvvisamente la vidi scendere i gradini dell’ateneo e venirmi incontro.
«Alfred, come mai sei qui?».
«Penny, ti devo parlare».
«Senti, mi spiace ma non sono riuscita a leggere il tuo biglietto, la stesura della tesi mi sta davvero impegnando tutto il tempo».
«Perdonami, ma insieme alla busta non hai ricevuto un libro?»
«Nessun libro Alfred, perché?».
«Uhm, avevo allegato un libro insieme alla lettera».
«Il biglietto l’ha ritirato mio padre, magari si è dimenticato di darmi il resto. Ultimamente è sempre meno presente con la testa. Devono essere i farmaci che prende».
«Ti spiace se andiamo a verificare? È di vitale importanza».
«D’accordo».
Giunti a casa Blossom il padre di Penny ci disse che appena il postino gli consegnò il libro con la lettera, un signore suonò il campanello dicendo che il commesso delle poste si era sbagliato e che aveva lasciato erroneamente il manoscritto insieme alla busta.
«Papà ma glielo hai dato??»
«Penny, cosa avrei dovuto fare, scusami?»
«Mister Blossom, le spiacerebbe descrivermi l’uomo che le ha chiesto indietro il libro?» chiesi gentilmente.
Come sospettavo la descrizione corrispondeva perfettamente a Murden Drake.
«Penny ho bisogno di parlarti, è davvero importante e purtroppo non mi è rimasto molto tempo»
«Si accomodi, mister?»
«Sono Alfred Johanson, mister Blossom, piacere di conoscerla» l’uomo molto gentilmente mi invitò ad entrare, dandomi una vigorosa stretta di mano.
«Alfred Johanson, figlio di Peter Johanson?».
«Si, perché?».
«Beh, la famiglia Johanson è conosciuta per le immense proprietà che detiene, Alfred, immagino che lei sia al corrente che il vostro cognome è famoso sia nell’alta borghesia che nel rango nobiliare».
«No, veramente usciamo poco dalla fortezza a dire il vero».
Mister Blossom ammiccava alla figlia come se volesse sottolineare che ero un rampollo da tenere in considerazione. Fu buffo, perché in effetti questo particolare non mi era mai passato per la mente. Avevo sempre vissuto la nostra condizione di agiatezza come una cosa naturale, senza mai tener conto che probabilmente eravamo un’eccezione.
Pochi istanti dopo ci raggiunse anche la moglie di mister Blossom, la mamma di Penelope. Una signora di mezza età dal portamento gentile e raffinato. Mentre mister Blossom sembrava il classico simpatico buontempone Ero diventato un fenomeno da baraccone. Ma onestamente mi interessava poco far colpo sui genitori, quanto sulla figlia.
«Vi ringrazio molto della vostra ospitalità ma per me è di vitale importanza parlare con vostra figlia e purtroppo non mi resta molto tempo»
I genitori di Penny ci lasciarono finalmente da soli. Sapevo che probabilmente non mi avrebbe creduto, ma dovevo tentare ugualmente,
«Penny ascoltami, devo partire e dopo questo viaggio non sono in grado di dirti se riuscirò a tornare da te. Mi devi promettere che qualsiasi cosa succeda, tu mi venga a cercare. C’è un motivo del perché ti dico tutto questo, ma ora non riesco a spiegartelo, devo proprio rientrare. La storia è contenuta nella lettera che ti ho scritto e i dettagli erano nel libro che Murden Drake ha rubato. A proposito se dovesse farsi rivedere di nuovo, non apritegli la porta».
«D’accordo Alfred» Penny era in evidente imbarazzo per l’incredulità di tutta la situazione e per il fatto che i genitori fossero stati così espliciti nei miei confronti.
La baciai sulla bocca, guardandola in quegli occhi profondi e uscii dalla porta come se non fossi mai esistito.
Avevo il cuore in pezzi, mai in vita mia sentii un dolore così grande. Sapevo che dopo la missione che stavamo per compiere non avrei mai più saputo dell’esistenza di quella ragazza.
Tornai alla fortezza con un macigno nel petto che mi impediva quasi di respirare, ma non dissi nulla per non far preoccupare gli altri. A breve saremmo tornati al 1248 per fermare Novak.
"Belladonna"
Tornato alla fortezza, raggiunsi gli altri cercando di non mostrare la tempesta che avevo dentro. Mi rendevo conto che per loro non era di vitale importanza come lo era per me. Non volevo passare per quello debole, senza spina dorsale.
Passammo al vaglio tutte le fasi della missione non tralasciando nessun particolare:
Innanzitutto tornare al 1248 e informare l’abate Salvo di Hannover di ciò che sarebbe accaduto se non avessimo trovato il modo di interrompere l’aberrazione temporale e quindi fermare Novak.
Nell’archivio trovammo l’anno in cui Drake giunse all’ordine. Proveniva dalla diocesi di Llandaff. Mio nonno aveva richiesto esplicitamente uno speziale per ovviare alle necessità del clan di cure e medicinali.
Quindi, in seconda battuta, tornare al 1954 a Llandaff ed evidenziare un altro nome al posto di Drake. Impresa ardua a mio parere, dato che attingere all’archivio della diocesi non era permesso a chiunque. Ci saremmo dovuti inventare qualche stratagemma per far passare qualcuno di noi per un componente della curia. Belifar si dimostrò più che propenso a interpretare il vescovo. In quell’occasione capimmo che il nostro caro sacerdote fu talmente rigetto alle regole delle chiesa Anglicana tanto da venire allontanato proprio da lui. Era una soddisfazione personale che Belifar aveva il piacere di concedersi.
I salti da compiere perciò erano due e a diversi secoli uno dall’altro: il 1248 e il 1954. Cosa che non avrebbe giovato per nulla al nostro fisico. Il viaggio nel tempo, sia esso di pochi anni o di diversi secoli, arrecava a chi lo compiva, diverse disarmonie a livello energetico e mentale. Ma non avevamo troppa scelta. Andava fatto subito, prima che l’abate e il monaco riuscissero a fare danni irreparabili.
La sera prima della partenza, decisi di andare sulla torre principale a dare l’ultimo saluto a Penelope. Ero davvero convinto che non l’avrei più rivista.
Quella notte, gremita di miliardi di stelle, era fin troppo perfetta. L’aria fresca e la brezza autunnale, mi fecero assaporare degli istanti indissolubili. Ma ero a pezzi, un tumulto di emozioni, di dolore, rabbia e compassione per un amore che non era riuscito a sopravvivere a quel maledetto disco. Incominciavo a odiarlo, mi aveva tolto tutto ed ora mi aveva tolto anche lei. «Addio mia dolce Penelope, sappi che se non in questa vita, in un’altra ci ritroveremo». Per un attimo il desiderio di buttarmi da quella torre e farla finita per sempre mi sfiorò i pensieri come un fulmine. Tanto avrebbero trovato qualcun altro per amministrare l’impresa. Che differenza poteva fare?
Ero talmente vicino al vuoto, che vedevo la punta delle scarpe fuoriuscire dal torrione principale.
«Alfred, ti consiglio di non farlo, non avrebbe senso. Se lei tornasse, cosa le dovrei dire? Che non hai avuto abbastanza palle da sopportare questo dolore? Non vorrei che si innescasse una tragedia Shakespeariana a causa della tua debolezza». Arthur, non avendomi visto in camera mi era venuto a cercare e sapeva che quando non riuscivo a trovare soluzioni, quello era il posto dove andavo a rifugiarmi.
«Tu non capisci, non sai cosa ho perso a causa del Dandellion. Ho perso ogni cosa, ed ora sto rinunciando anche a lei. Perché? Perché l’asse del tempo va corretto? Chi se ne frega! Lo uccido io con le mie mani Murden Drake!»
«Perché tu pensi che io non abbia perso nulla? Fattela questa domanda Alfred. Ho perso mia moglie, ho lasciato la famiglia. Ora siete voi la mia famiglia. Tu sei come un figlio per me e non voglio perderti. Mi sei rimasto solo tu. Quindi ti prego vieni via dal cornicione, o finiremo nel vuoto entrambi».
Per un attimo esitai, ma le parole di quell’uomo mi colpirono profondamente. Era disposto a morire con me.
Indietreggiai pian piano, mi voltai e lo guardai in quegli occhi immensi, pieni di commozione.
Lo abbracciai forte, potevo sentire le lacrime irrigargli il viso «Grazie Arthur, il tuo affetto è la cosa più preziosa che il cielo mi potesse regalare. Hai sostituito mio padre, amandomi nello stesso modo».
Potevo sentire il vento mischiarsi con le nostre emozioni e quel profumo antico del suo dopobarba. Era davvero la persona più cara che il cielo potesse regalarmi.
Arthur mi accompagnò in camera, non solo per assicurarsi che non facessi altre sciocchezze ma anche per discutere sugli ultimi particolari della missione.
«Senti, sono due giorni che ci penso. Nel controllare i documenti di Drake, in camera sua ho trovato una vecchia formula di un estratto letale, a base di bacche di Belladonna e Stricnina. Perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere?» chiesi a Finnigan.
«Non ne ho la più pallida idea, ma più scopriamo particolari su quell’uomo, più diventa inquietante»
«Dammi pure del pazzo se vuoi, ma io una mezza idea di versagli il veleno nel vino, ce l’avrei. Così ci togliamo ogni possibilità che possa arrecare danno a qualcun altro. Inoltre, anche se riuscissimo a cancellare il suo nome dalla lista, non potremmo mai essere sicuri che la cosa funzioni. Sai, a volte basta un raffreddore per far partire un monaco al posto dell’altro». Ero consapevole che anche se avessimo cercato di evitare il suo arrivo, gli imprevisti erano sempre dietro l’angolo.
«Hai ragione Alfred, ma ti ricordo che questo sarebbe omicidio».
«Mi prenderei questa responsabilità e l’unico a saperlo saresti solamente tu. Ovviamente agirei da solo».
«Ti rendi conto di che peso sulla coscienza mi stai mettendo? Diventerei tuo complice».
«Lo so Arthur, ma credo che non abbiamo altra scelta. Non possiamo permettere che un banale imprevisto ce lo mandi qui ancora e non possiamo permettere che possa arrecare danno a qualcun altro».
«Se ne parlassimo con gli altri?»
«No, cosi renderemmo complici anche loro».
«D’accordo che ti ho appena detto che morirei per te Alfred, ma non ti sembra di passare il limite?»
«Arthur, sarei solo a fare questa cosa, tu non avresti colpa. Se venisse fuori me ne prenderei la totale responsabilità»
«Lo sai che esiste un tribunale anche per il cavalierato? Se venissi condannato?»
«Amen, almeno saprei di aver fatto la cosa giusta».
«Beh, ti ho sempre dato ragione e ti ho sempre appoggiato, ma ora no. Avrei preferito non averlo mai saputo».
«Va bene, allora io non ti ho detto nulla».
«Alfred, tu un giorno o l’altro mi farai morire d’infarto. Sin da piccolo sei stato così, avresti difeso il mondo a costo di rimetterci tu. Tuo padre ti chiamava “il mio piccolo paladino della giustizia” e aveva ragione. Ricordo che per proteggere il ragazzo della scuderia che era stato ingiustamente accusato di furto, ti sei preso tu la colpa. Hai passato una settimana in punizione».
«Ho un vago ricordo».
«Sei sempre stato un ribelle, posato, giusto, equilibrato, ma quando ti salta la mosca al naso non ti ferma più nessuno. Ora vorrei che tu ci riflettessi, perché non posso pensare di vederti alla gogna per colpa di Drake»
«Lo sai che lo farei comunque. Tanto che ho da perdere?»
«Me, avresti da perdere me, e tutti noi, se non la tua libertà, brutto idiota».
«Va bene Arthur, ci penso, d’accordo?»
«Lo spero proprio. Buona notte e che ti porti buoni consigli» Lo abbracciai con tutto l’affetto che avevo nel cuore.
Sarei partito quella notte stessa, senza farmi vedere da nessuno.
Due ore dopo lasciai un biglietto ad Arthur dicendogli che se non fossi tornato di non venirmi a cercare e che l’affetto che ci legava non sarebbe mai potuto cambiare.
Indossai una tunica nera con il cappuccio e mi diressi verso i sotterranei.
«Buona sera mister Johanson, lo sa che c’è una restrizione all’accesso, vero?».
«Certo che lo so, ve l’ho imposta io».
«Temo di non poterla lasciar passare, capo. Ho ordini precisi da mister Finnigan» Il mio fin troppo furbo patrigno mi aveva anticipato, prevedendo la mia mossa.
«Vi ricordo che il capo sono io e sono io che vi pago lo stipendio. Quindi adesso spostati o sarò costretto ad entrare con la forza».
La guardia molto mestamente si scansò dal portone principale. Avevo scelto appositamente l’ingresso più facile, dove sapevo che non avrei avuto problemi ad entrare. Se avessi incrociato Pentecoste mi avrebbe fatto talmente tante domande che avrebbe potuto davvero compromettere la mia missione.
Nella sala controllo, impostate le coordinate e i deodi di transizione, mi incamminai verso il disco che iniziava a ruotare lentamente. Sapevo che Arthur si sarebbe accorto della mia partenza ma sarebbe ormai stato tardi.
Mi misi al centro del disco e chiusi gli occhi. Salutai Penelope un ultima volta e sparii nel limbo del tempo in una manciata di interminabili secondi.
Sangue blu
Newport, casa Blossom, qualche giorno prima….
Mi incuriosiva ciò che quell’uomo aveva da dirmi. Se non altro, volevo capire se avesse davvero a che fare con la mia tesi di economia.
Quando lo incontrai, mi travolse letteralmente con quella stretta di mano, quel sorriso empatico e l’aria fresca ed elegante. Sembrava impacciato, come se non avesse mai incontrato una ragazza in vita sua. Forse fu questo a colpirmi. Si capiva che non era uno da festini e party universitari. Aveva quel non so che di genuino e antico, che lo rendeva estremamente affascinante.
Tornata a casa, mia madre, come previsto, mi fece il terzo grado a proposito di mister Johanson.
Stavo con un ragazzo in quel periodo, suonava nella band dell’ateneo e ovviamente ai miei non piaceva affatto. Jerry Basosky, chiamato Bazz dalla combriccola di strimpellatori che aveva come amici.
La nostra storia idilliaca si era conclusa diverse volte, ma alla fine ritornavamo sempre insieme. Aveva un fascino tutto suo ma era anche un gran cacciatore di donne, particolare che mia madre mi faceva presente ogni santo giorno «Con tutte le ragazze che ha attorno, tu stai ancora con quel perdigiorno?».
Quando i miei cercarono sull’elenco telefonico se esisteva un certo Alfred Peter Johanson, si resero conto che l’unico nome presente era quello della famosa famiglia blasonata.
«Accidenti ragazza, hai un rampollo da non farti scappare che ti bussa alla porta!» disse mio padre a cena, mentre tentavo di raccontare ai miei che non avevo ancora capito il motivo di quell’incontro. Sembrava che a loro non importasse nulla se fosse una brava persona o meno, importava invece il casato di appartenenza.
«A parte che non siamo sicuri che sia davvero lui, poi anche se fosse, mi dareste in pasto al primo che capita, solo perchè ha terreni sino in Prussia?»
«Beh, vederti accasata a un buon partito non è che ci faccia proprio ribrezzo Penny! Piuttosto che con quello scapestrato con cui stai uscendo ora».
«Siamo alle solite papà, vedi perchè preferisco mangiare in camera mia?».
«Va bene, d’accordo, taccio come al solito. Qui, con due donne non si riesce nemmeno a parlare».
«Tu non parli papà, tu mi imponi il tuo volere e questo non lo tollero».
«Comunque, si può sapere perchè Johanson ti ha cercata?».
«Dice che ha ricevuto un biglietto anonimo che diceva di rintracciarmi».
«Ma che razza di storia è questa? E tu gli hai creduto?».
«Appunto, era di questo di cui volevo parlarvi».
Mia madre stava servendo l’arrosto a tavola, quando intervenne: «Non ho capito bene, questo signore ti ha detto che ha ricevuto un biglietto dove diceva di cercarti?….. Che storia romantica Penny!»
«Lilly, possibile che ci vedi del romanticismo in ogni cosa?».
«Scusate ma cosa c’è di così sbagliato?».
«Mamma, tu ti fidi di tutto e di tutti, ma chi ti dice che non sia una balla colossale e questo signore non voglia approfittarsi di me?».
«Beh, come siete rimasti?» chiese mio padre mentre si versava un bicchiere di rosso.
«Nulla, ci siamo scambiati il telefono, con l’accordo di sentirci se fossero emerse delle novità».
«A proposito, spero tu ti sia ricordata di controllare le tasche prima di portare il mio cappotto in tintoria» chiesi indispettita a mia madre.
«A dire il vero, no» rispose lei, con aria colpevole.
«Perfetto, se avevo delle possibilità di capire cosa diavolo sta tramando mister Johanson, ora non le ho più»
«Dai, magari lo ritrovi ancora il numero Penny».
«Hai presente i tovaglioli di carta del Moodies mamma? Sono trasparenti».
«Scusami tesoro, non ci ho fatto caso».
Il giorno che mister Johanson si presentò all’università, mi successe qualcosa di veramente strano, ma non ne feci parola con nessuno. Nell’aula che avevo appena lasciato c’era un uomo che avrei giurato fosse lui. Si copriva il volto con il braccio ma ebbi l’impressione di riconoscere Alfred in quel viso.
Quando lo incontrai fuori ad aspettarmi, mi diedi della stupida, perchè era impossibile che fosse la stessa persona.