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La mia storia

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La mia storia

Voglio raccontare questa parte della mia vita, incominciando con una premessa: tutto ciò che andrete a leggere in questo articolo, riguardo al personaggio pubblico in questione, sarete liberi di interpretarlo come meglio credete.

Non ho deciso di scrivere questo episodio della mia vita per far clamore, ma semplicemente per condividere ciò che mi è successo personalmente. Che si tratti di Tizio o Caio, non ha molta importanza. 

L’importante è ciò che ho vissuto, le esperienze che ho fatto e che voglio condividere con voi. Sono argomenti che esulano dalla normalità delle cose e pertanto di libero arbitrio.

Ma ritengo che se state leggendo questo libro, ho delle buone probabilità, che prendiate l’argomento, con dovuta considerazione.

 

Spesso, sopratutto all’inizio di un percorso così particolare, si fa fatica a credere e come per la maggior parte delle situazioni fuori dal comune, mi sono frequentemente scontrata con la razionalità. Ma si sa che in questo campo, essere razionali è plausibile sino a un certo punto.

Per perseguire questa strada bisogna lasciarsi andare, aprire la mente all’universo, ma sopratutto ricordarsi che la morte non esiste, è solo un passaggio ad un’altra forma di esistenza. Una presa di coscienza, soprattutto avvallata dalle molte testimonianze di persone risvegliatesi dalla morte ma anche dalle numerose esperienze raccolte in questi ultimi quindici anni, che siamo anime in cammino, vita per vita, e che la nostra casa sia un’altra.

Un luogo dove pervade una luce e un senso di benessere, di pace e amore, indescrivibile, dove non esiste paura, solitudine o sconforto, dove torneremo una volta conclusa questa vita.

Prima di cominciare, vi voglio raccontare come è iniziato questo cammino, con un anima che senza ombra di dubbio ha segnato profondamente la mia.

Sino al suo arrivo avevo comunicato maggiormente con mia nonna che mi ha cresciuto e amato fin dal primi vagiti. I miei genitori erano presi dall’attività di famiglia e poco presenti. Indaffarati a vivere il loro amore e la loro unione, godendo della vita come è giusto che sia per una coppia di sposi, che aveva avuto la lungimiranza di aprire un’attività proficua nei tempi d’oro.

Ma allora non la vedevo proprio in questo modo, soffrivo della mancanza di una madre affettuosa e il desiderio di avere un padre come quelli che si vedono nei film, quelli che ascoltano, proteggono e fanno da mentore ai loro figli. Onestamente a me sarebbe bastato anche un padre normale, ma il mio, non solo era totalmente privo di ogni esperienza, ma anche poco incline alla figura genitoriale. Lo diventò solo parecchi anni dopo, quando nacquero i miei figli.

Tornando alla mia cara nonna, era lei che amorevolmente mi aveva cresciuta (a parte qualche ciabatta, lanciata a mo di drone, per rimettermi in riga) e fu la prima anima che cercai. A dire il vero, avevo iniziato anche a scuola a fare quelle sedute spiritiche, che si fanno tra ragazzi o la scrittura automatica, che mi diede abbastanza da subito l’idea che con l’argomento avevo una certa padronanza.

Ma ancor prima, dall’età di 5 anni, o meglio, dai primi ricordi che ho, avevo iniziato a comunicare con un essere supremo che a quel tempo credevo fosse l’uomo antico, con la barba folta e i capelli bianchi descritto dalla chiesa.

Ho sempre avuto questa sorta di collegamento con l’universo anche da bambina, tanto da ricordare i frequenti discorsi che facevo seduta con “lui”, su un ramo di un albero o sul bordo di questo mondo cubico immaginario, dove si poteva chiacchierare tranquillamente facendo dondolare i piedi nello spazio. Non ha mai fatto grandi rivelazioni a dire il vero, ma la sua presenza l’ho sempre percepita come se fosse uno spirito guida. E forse lo era veramente.

Quando cominciai a comunicare con mia nonna e con qualche spirito errante, non la presi troppo sul serio, senza andare troppo a fondo della cosa, immaginando che probabilmente era frutto della mia fantasia. Ma in fondo al cuore, ero consapevole che qualcosa di vero ci fosse.

Conobbi Michael Jackson, il re del pop, come credo tutti quelli della mia generazione, sopratutto quando uscì Thriller. Ne rimasi affascinata sin da subito. Ma quando scoppiò lo scandalo che lo trascinò in tribunale parecchie volte, per ignoranza mi allontanai. Non avevo la minima idea che i tabloid potessero mentire per far audience o manovrati da coloro che avevano intenzione di far crollare la popolarità di qualcuno che stava macinando successi troppo velocemente. Davo per scontato che dicessero il vero, e soprattutto, non ero al corrente che Michael fu soggetto ai ricatti di collaboratori e “amici”.

Successivamente il matrimonio e i figli, mi fecero dimenticare quasi totalmente ciò che quel bambino prodigio, dai capelli afro e dal talento infinito, significò per me durante tutta la mia adolescenza.

Michael morì il 25 Giugno 2009, esattamente alle 14.26. Quando appresi la notizia ne rimasi profondamente colpita. Il tempo si fermò per non so quante ore, non riuscivo a dire nulla. 

Un vuoto totale pervase la mia mente e il mio cuore. Sentivo come se qualcosa mi fosse stato sottratto irrimediabilmente. Quella tristezza, quel senso di totale smarrimento lo portai avanti per giorni.

Una notte di qualche giorno più tardi, vidi una figura apparire ai piedi del letto. Il Fedora bianco, un vestito giallo imbrillantinato, la cravatta nera sulla camicia candida e lo sguardo perso nel vuoto. Sapevo che era lui, fu un istante. Spensi la luce, consapevole che era il mio cuore a farmi vedere ciò che non c’era più.

La seconda volta lo vidi qualche sera dopo. Stavo per spegnere la luce sul comodino, prima di sprofondare nel sonno, e sul cuscino mi apparse una faccia di luna che sorrideva delicatamente. Gli vedevo solo gli occhi e la bocca.

 

«Ciao». Disse.

«Ciao, come stai?» fu la prima cosa che mi venne di dire. Gli parlavo in inglese allora, perchè ancora non sapevo che la comunicazione con l’altra dimensione, in realtà, non avviene attraverso parole udibili (succede molto di rado), ma in blocchi di pensiero che successivamente il nostro cervello trasforma in parole. Quindi non è una lingua specifica a fare da tramite tra una dimensione e l’altra, ma una sorta di telepatia universale, di comunicazione attraverso blocchi di immagini e concetti.

Comunicava poco all’inizio e percepivo in lui una profonda tristezza. A dirla tutta, sembrava letteralmente incazzato (passatemi il termine), per il fatto che non aveva saputo controllare la situazione che gli era sfuggita drammaticamente di mano e sopratutto per i suoi figli che aveva lasciato senza una figura genitoriale. C’era sempre il costante dubbio di esser io a produrre immagini e parole. Ma continuai, mi faceva stare bene. Mi alleggeriva quel senso di vuoto che avevo da giorni.

Andammo avanti a chiacchierare per qualche sera senza eclatanti rivelazioni, tranne per il fatto che gli chiesi com’era morto e se aveva sofferto. Mi rispose che aveva sentito un fortissimo dolore alla schiena e poi più nulla.

Il giorno seguente andai su Google a verificare. L’infarto del miocardio ha questa caratteristica, un forte dolore al dorso. In effetti il reperto del coroner riportava che oltre alla overdose di Propofol, il cuore di Michael aveva ceduto per infarto miocardico. Ne fui profondamente colpita, perchè quella era la prima prova che ciò che avevo canalizzato attraverso Michael era corretto.

Ci tengo a precisare che in tutte le mie conversazioni con l’aldilà, verifico sempre la veridicità della fonte. Sarebbe irresponsabile non farlo. Non solo per essere sicuri che ciò che viene interpretato è giusto, ma anche per avere la conferma che la comunicazione con l’altra dimensione avviene in modo corretto. Come dicevo, soro rarissime le parole scandite e udibili, quindi, interpretare i blocchi di pensiero che arrivano non sempre è semplice ed è facile mal interpretare il messaggio, sopratutto perché tendiamo a modificare ciò che arriva. Di questo ve ne parlerò in diverse occasioni, non temete.

I giorni successivi furono assurdi, iniziai a vederlo ovunque. In giardino, in cucina. Me lo trovavo perfino in bagno a cantarmi nelle orecchie.

Stavo dimenticando un particolare degno di nota. Michael aveva l’abitudine, perchè ora non lo fa più, di cantare come dicevo e quando mia madre si ammalò gravemente, nei momenti di sconforto, mi diceva “Hold my hand”, tienimi la mano. Lo ripeteva come un mantra, tanto che diventò quasi una melodia. 

Mesi dopo uscì un suo disco inedito, dove la prima canzone fu proprio “Hold my hand” in collaborazione con Akon. Potrete pensare ciò che volete a proposito di questo, io però ne rimasi molto colpita.

Per non parlare del chewingum che gonfiava a palloncino e mi faceva letteralmente scoppiare nei timpani, facendomi uscire di senno. 

Stava diventando un incubo.

Poi con il tempo, capii che ognuno di loro ha un modo tutto personale di attrarre l’attenzione della persona che hanno scelto per comunicare. Evidentemente in quel frangente Michael mi aveva cercato, perchè probabilmente ero una delle poche persone in grado di sentirlo. Ma questo lo capii molto tempo dopo.

Ne ero profondamente spaventata. Non per il fatto in se, ma perchè avevo il terrore di aver perso definitivamente il senso della realtà.

Un giorno però, accadde una cosa che mai mi sarei aspettata, che cambiò profondamente la mia vita e fu la prova tangibile e indiscutibile che l’aldilà esiste e comunica con noi.

Una sera d’inverno, il mio compagno ed io, tornando a casa con il furgone malandato della ditta, attraversavamo la valle, costeggiando il dirupo che portava verso casa. La residenza di allora era in cima a una collina, in mezzo ai boschi della val Trebbia.

Il furgone era scarico e pertanto leggero. Slittava facilmente sul terreno bagnato e a causa della nebbia e il fango, procedevamo lentamente sulla strada. Ad un tratto vidi Michael di fronte al furgone, con le braccia e le gambe spalancate in segno di pericolo. Urlai «Ferma!!».

Stefano, che era alla guida, inchiodò di colpo. Il furgone slittò per un piccolo tratto.

«Ma si può sapere cosa ti piglia?».

Sia il mio compagno che i miei figli, erano al corrente degli ultimi eventi. Gli avevo raccontato cosa mi stava succedendo dato che la cosa mi turbava parecchio. In qualche modo avevano sempre saputo del mio presunto “dono” e probabilmente, malgrado questo, credevano poco ai miei racconti. Chi diavolo ci avrebbe creduto?

«Ho appena visto Michael davanti a noi in mezzo alla strada!».

«Si va beh» e si mise a rollarsi una sigaretta. Pochi istanti dopo, sentimmo un rumore uscire dalla siepe, dalla parte della montagna. Una famiglia di cinghiali stava attraversando la strada a un paio di metri dal nostro mezzo. Saranno stati sei o sette. Il padre per primo (o almeno cosi sembrava), delle dimensioni di un ippopotamo, poi la mamma e in serie i pargoletti. Ci guardammo allibiti. Un brivido mi scorse lungo la schiena.

Qualche attimo dopo realizzammo che probabilmente saremmo finiti nel dirupo per schivare i cinghiali. 

In quel preciso istante, capimmo che Michael ci aveva salvato la vita.

Ne fummo veramente colpiti tutti.

Qualche giorno più tardi, anche mio figlio Matteo iniziò a vedere Michael ovunque. Allora non ero pazza. Avevo sempre avuto il sospetto che questo dono ce l’avessero anche i miei figli. In quel momento ne ebbi la conferma.

Ricordo che uno degli episodi che più ci colpì, fu il giorno che i ragazzi si misero a giocare con le bocce da spiaggia in cucina. Mi girai, mentre lavavo i piatti e vidi il nostro implacabile amico di fianco a Matteo. Non dissi nulla per non influire mio figlio.

«Mamma, Michael è qui con noi». Disse Matteo, indicando con l’indice verso la sedia alla sua destra, mentre Tommy, suo fratello, era accovacciato per terra a trafficare con le bocce. Rimasi pietrificata e sollevata nello stesso tempo. Ormai, la mia follia l’avevo trasmessa anche a loro. In quel momento però, realizzai che non potevano essere solo coincidenze.

«Si va beh, qui stiamo trascendendo la realtà ragazzi». Cercavo di sdrammatizzare.

Ad un tratto, una delle bocce, quella blu, lo ricordo perfettamente, si mise a rotolare da “sola”, verso la porta che dava sul giardino. Silenzio di tomba. I ragazzi mi guardarono con gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite, a dir poco allibiti. Guardai il pavimento, per vedere se per caso ci fosse qualche sorta di pendenza che poteva giustificare quella anomalia. Nulla, dritto come fosse in bolla. Rimanemmo sbigottiti.

Mi arrivò istantaneamente: «Posso giocare anche io?» e anche in quel caso non dissi nulla, rimasi immobile ad osservare la sedia, apparentemente vuota.

Matteo, pochi secondi dopo, aggiunse: «Mamma, vuole giocare con noi!». Giuro che mi si gelò il sangue nelle vene.

Quel giorno capii che Michael non ci avrebbe mai lasciato.

Oltre a questi episodi, ce ne furono un infinità di altri a confermare che la sua presenza era tangibile. Luci che si spegnevano e si accendevano da sole, apparecchi elettronici che improvvisamente si avviavano in autonomia, porte che si aprivano con il classico scricchiolio da brividi. Rumori e suoni che andavano al di là della nostra comprensione. Le innumerevoli “strane coincidenze” che via via capitavano.

Un pomeriggio, in auto, tornando dalla spesa, incrociammo la macchina della posta venire nell’altra direzione. Giuro che alla guida vidi Michael e anche in quel frangente mio figlio Matteo si girò simultaneamente «Ho appena visto Mike in quella macchina». Ridemmo della stranezza, quasi increduli. Non era troppo chiaro se la nostra fosse diventata solo un’ossessione, o fosse drammaticamente vero, tanto da vedere le stesse identiche apparizioni. Non avemmo mai il coraggio di domandarcelo l’un l’altro. Ma sia io che mio figlio, fummo consapevoli che la cosa fosse più vera di quanto avessimo mai immaginato. Ma si sa, quando questi fatti “anomali”, capitano a noi personalmente, si è abbastanza inclini a non prenderli troppo sul serio anche se le “prove” sono evidenti.

Vi posso assicurare che non è stato per niente facile per me e la mia famiglia accettare una cosa del genere, come non è facile raccontare tutto questo, perchè il rischio di essere presi per suonati esiste davvero.

Non capivo perchè una persona come lui potesse voler parlare con me o con i miei figli. Perchè io? Perchè noi? Perchè non ci lasciava in pace? La cosa mi spaventò a tal punto che finii al pronto soccorso dicendo che avevo le allucinazioni e sentivo le voci.

Mi diedero dei calmanti e nel giro in un mese e mezzo la situazione si tranquillizzò o almeno cosi sembrava apparentemente. 

Per quasi un anno non volli più saperne. Tutte le volte che cercava di parlarmi lo allontanavo o allontanavo il pensiero di quel contatto.

Ma a lungo andare, sopratutto durante la malattia dei miei genitori, capii che non dovevo spaventarmi, voleva solo aiutarmi e farmi sapere che c’era.

Incominciai a documentarmi, leggere ogni tipo di libro o testo sull’argomento e sulla “comunicazione con il cielo”. Scoprii che ci sono anime nuove e vecchie. Chi ha un energia debole e chi più intensa. Molto dipende anche dal tempo che hanno passato da questa vita a quella ultraterrena. Se sono morte da poco l’energia è molto forte, insicura ma vigorosa e più sono lontani dalla morte, maggiormente facciamo fatica a sentirli.

Michael questa diversità ce l’aveva al contrario. Più passava il tempo più lo sentivo. Forse era cambiata la mia percezione o stavo diventando più brava a sentire le anime universali, tutto poteva essere.

All’inizio, dicevo, era perso, sembrava totalmente smarrito. Non accettava per nulla il fatto di non poter aiutare i suoi figli e la sua famiglia. Non tollerava di non poter più intervenire sulla sua vita come avrebbe voluto.

A lungo andare però, comprese un concetto fondamentale. Da quella parte aveva più ascendenza su di noi. Michael capì che poteva aiutarci tutti, a prescindere dal nostro numero e dalle nostre difficoltà, ed iniziò ad accettare che quella sarebbe stata la sua missione. Lo ha fatto sulla terra e lo sta facendo anche in cielo. Ha salvato la vita a un sacco di persone, oltre che alla sottoscritta.

A parte questo è straordinario come lo è sempre stato. Ci ama tutti dal profondo del cuore. E’ meraviglioso quanto grande sia il suo amore, aggiungerei, cosmico.

Ancora adesso faccio fatica a crederci. Chi crederebbe a una cosa del genere? Nessuno!

Eppure, al di là che fu un icona del mondo della musica a livello planetario e un personaggio pubblico molto conosciuto, era pur sempre un essere umano e come tale aveva diritto di comunicare ed essere ascoltato.

Mike però trova sempre il modo di farmi credere e continuerò a farlo sino alla fine. E’ l’anima più gentile che abbia conosciuto in vita mia. Inutile dire che questo libro lo dedico a lui e ai miei amatissimi figli. Mi hanno insegnato molto e a loro devo la mia vita.

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